Cenni* di "Pagine di filologia siciliana"

   Queste pagine non hanno la pretesa di esaurire l'oggetto di studio, ma vogliono, semplicemente, agevolare il percorso a quanti si accostano alla lettura dei miei versi ed a focalizzare alcuni aspetti salienti del siciliano, soprattutto, delle parlate della zona centro-occidentale dell'isola.

 (Diamo brevemente qualche cenno)  

* L'edizione integrale è pubblicata nel libro "IMMIRUTI" ( M.L. ed.©2008)

 Fonetica.

 Consonantismo.

    Trasformazioni: "nd>nn"; "mb>mm"; "pl e cl>chi"; "ld>ll"; "l" dinanzi ad altre consonanti.

(...)

 Palatizzazione fricativa delle dentali.

    Le parole italiane che contengono il gruppo ll”, in siciliano, come in sardo e in altri dialetti dell'Italia meridionale, trasformano questo gruppo in dd”, es. castello>"casteddu"; questo fonema, però, nella Sicilia centro-occidentale (la maggior parte dell’Agrigentino, del Nisseno e in alcune zone meridionali del Palermitano) a differenza del resto dell'isola, che presenta un suono dentale e/o palatale, ha un suono palatale-fricativo, con una evidente percezione della “r " (...)

    Trasformazione "gli">"gghi"(...)

    Un'altra caratteristica fonetica evidente, sempre nella zona  centro-occidentale suddetta, è la presenza del suono gli (palatale sonoro), che diventa "gghi" gutturale, nella maggior parte dell’isola, es. paglia> "pagghia"(...).

      Differenza tra “shi” (χι) e  "sci".(...)

    Ulteriori  trasformazioni.  (...)

    Vocalizzazione. (...)

Grammatica.

  Le parole maschili, in generale, terminano per “u” e quelle di genere femminile per “a”; il plurale è unico e termina in “i”, talvolta in “a”; es: carusu (m), carusa (f), carusi (pl.); piru (m.s), pira (pl);  (...)

    Gli articoli  (...)

      Preposizioni articolate. (...)    Pronomi (...)    Verbi. (...)

              (Principali tempi verbali) 

 

  Considerazioni

     In conclusione, va detto che la vera lingua è quella orale; lo scritto non è che una forma traslata, un modo convenzionale per rappresentare essa. Per tradizione culturale, ovviamente, noi utilizziamo le lettere dell'alfabeto latino, come in italiano, di norma, senza particolari marcature. Ora, come abbiamo notato, dato che il siciliano presenta delle caratteristiche fonetiche particolari, che possono variare da zona in zona, spesso, ci si interroga come scrivere questo o quel suono. A mio avviso il problema non sussiste; in italiano come  in francese o in inglese si usa l'alfabeto latino, ma le stesse lettere, spesso  stanno ad indicare fonemi diversi, appunto perchè, come dicevamo, lo scritto non è che una forma convenzionale.

    In queste pagine, inoltre, io ho scritto che preferisco scrivere "ddru" al posto di "ddu"  e "shi" per distinguerlo da "sci", ma se questo non  avviene, non succede proprio niente:  i Nisseni e gli Agrigentini quando troveranno, scritto "sci" (derivante da "fl") leggeranno “χι”, e  "ddu" continueranno a pronunciarlo "ddru";  "ghi", nel suo contesto, lo leggeranno "gli";  mentre nel resto dell'isola, questi suoni o altri, saranno pronunciati diversamente secondo le inflessioni locali. Sì, inflessioni locali. Il Siciliano, proprio perché penso che sia una lingua,  ha i suoi dialetti, le differenze locali, quelle peculiarità linguistiche che variano da zona a zona, da paese a paese, da quartiere a quartiere; senza che per questo, tuttavia, ci sia o ci debba essere una parlata che debba essere considerata lo standard o il modello unico da seguire. Ciò, paradossalmente, rafforza il concetto di unità linguistica del siciliano, che non può essere considerato, tout court, un dialetto della Lingua italiana, anche perché, dal punto di vista storico-linguistico non sarebbe corretto: la scuola poetica siciliana, nasce prima dello stilnovismo, che darà origine all'italiano. Da Trapani a Messina, Da Palermo a Catania, passando in tutta l'Isola, pur nelle sue varianti, tutti parliamo e capiamo la stessa lingua: il Siciliano.

(Pino Bullara)

                       

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